Reverse mentoring: un proficuo scambio di competenze tra generazioni diverse in azienda
Abbiamo già parlato in precedenza del valore della varietà generazionale sul posto di lavoro. Capiamo come il reverse mentoring può favorire questo elemento, molto importante in un’azienda.
Cos’è il reverse mentoring?
Vediamo innanzitutto cosa si intende con l’espressione inglese “mentoring”: letteralmente potremmo tradurre questa parola con “tutoraggio”, prendendo sempre in prestito un termine dall’inglese.
Si tratta quindi dell’affiancamento di una persona maggiore di età o con più esperienza che forma a livello professionale un nuovo dipendente.
E il reverse mentoring? In questo caso parliamo della stessa dinamica, ma invertita.
Si tratta infatti di una pratica sempre più diffusa in azienda, mediante la quale i dipendenti più giovani, meno esperti ma più digital, sono chiamati a trasferire competenze ai colleghi senior e ad aiutarli a familiarizzare con la tecnologia.
Letteralmente un “mentoring al contrario”, in cui si invertono le parti dell’insegnante e dell’allievo e l’azienda cresce anche grazie alle competenze delle giovani generazioni, come i Millennials e la Gen Z (leggi qui quali sono le aziende preferite dai giovani).
Ovviamente il reverse mentoring ha a che fare anche con il diversity management e con l’inclusività in azienda, in quanto stimola lo scambio e la collaborazione tra generazioni, contrastando le diffidenze e i pregiudizi verso i giovani talenti.
Negli ultimi tempi si sta rivelando uno strumento HR molto efficace per ottimizzare la gestione della presenza di quattro generazioni che convivono quotidianamente in azienda.
Origini del reverse mentoring
La nascita del reverse mentoring si colloca nel 1999, anno in cui Jack Welch, ex CEO di General Electrics, chiese ai top manager della sua azienda di cercare giovani che potessero insegnare loro a utilizzare internet.
Possiamo quindi affermare che il reverse mentoring è nato insieme al web.
Il costante aggiornamento delle tecnologie ha prodotto un “digital gap” tra risorse junior e senior all’interno delle aziende.
Da un lato, i dipendenti senior si trovano a dover adottare nuovi strumenti tecnologici per permettere all’azienda di crescere, senza avere le competenze innate per farlo.
Dall’altro, le nuove generazioni, seppur inesperte, hanno inevitabilmente una marcia in più nell’apprendimento e nell’utilizzo dei mezzi tecnologici e possono dare un contributo prezioso alle imprese nell’impostazione di nuovi piani di sviluppo digital.
Vantaggi del reverse mentoring
Se ben utilizzato, il reverse mentoring può diventare uno strumento utilissimo che presenta molti vantaggi per l’azienda:
- Sviluppo di una cultura aziendale dell’apprendimento condivisa.
- Valorizzazione dei giovani talenti coinvolti, intercettandone competenze e potenzialità.
- Potenziamento delle capacità di leadership dei giovani manager coinvolti.
- Riduzione del turnover, con un maggior grado di soddisfazione di mentor e mentee e quindi una maggiore employee retention.
- Promozione di diversità e inclusione e incentivo all’aumento dell’integrazione tra generazioni, culture e generi.
- Superamento del digital gap attraverso l’aiuto delle giovani generazioni.
- Aumento della produttività come conseguenza della promozione di una cultura di apprendimento, inclusione, crescita economica e benessere.
- Miglioramento dell’immagine aziendale, in quanto un’azienda che pratica il reverse mentoring si presenta come moderna e aperta al contributo delle nuove generazioni
Come applicarlo in azienda
Ora che sappiamo cos’è e quali vantaggi può portare all’azienda, ecco qualche consiglio per applicare il reverse mentoring:
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Definire l’obiettivo
Innanzitutto occorre definire quale scopo si vuole raggiungere con il piano di reverse mentoring e quali benefici si spera di ottenere sul lungo periodo.
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Pianificare un programma di reverse mentoring
Il secondo step consiste nel definire alcuni parametri, variabili in base all’obiettivo di massima e alla tipologia di business, entro cui svolgere il piano di reverse mentoring:
- chi parteciperà al programma?
- in quali spazi si svolgeranno le iniziative?
- quale sarà la durata del programma?
- cosa ci si aspetta dai partecipanti?
- quali strumenti di monitoraggio adottare?
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Definire e abbinare mentor e mentee
Naturalmente il cuore del reverse mentoring consiste nell’individuare e abbinare mentor e mentee, ovvero insegnanti e allievi.
A monte del lavoro pratico occorrerà pensare a quali risorse coinvolgere e in base a quale criterio abbinarle, cercando di procedere evitando bias e pregiudizi e favorendo l’incontro generazionale.
Meglio non forzare rapporti tra persone non interessate a collaborare, quindi è preferibile verificare che i colleghi siano disponibili (o, possibilmente, entusiasti) di affrontare il progetto.
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Iniziare il reverse mentoring
Per iniziare con il piede giusto può essere sicuramente utile pensare a un kick-off introduttivo, che aiuti mentor e mentee a sentirsi parte di un proprio progetto e a comprendere l’importanza di impegnarsi nel processo di scambio.
Il reverse mentoring potrà essere svolto in diverse modalità:
- incontri one-to-one in presenza
- incontri a distanza
- blended mentoring (mix tra mentoring in presenza e a distanza)
- mentoring di gruppo
- mentoring misto (mix tra incontri one-to-one e di gruppo)
- peer mentoring (scambio “alla pari” tra mentor e mentee)
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Monitorare
Una volta avviato il programma, è bene controllare con cadenza periodica lo stato di avanzamento del trasferimento di competenze e il grado di soddisfazione delle parti coinvolte.
Fondamentale sarà anche la verifica delle competenze acquisite, in particolare a livello tecnico per il mentee più anziano e sul piano delle soft skills per il mentor più giovane.
Ricorda che il reverse mentoring, se ben utilizzato, può avere un ruolo significativo anche nel migliorare le relazioni in azienda, riducendo le incomprensioni, i conflitti e il gap generazionale.
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